L'intervento dell'autrice di "Anni spezzati" alla
biblioteca Casa del Parco
Ci sono persone che hanno la capacità di rivolgersi ai propri
interlocutori comprendendo e assumendo il loro punto di vista. Lia Tagliacozzo
è una di queste persone e lo ha dimostrato nel corso dell'incontro avuto con
alcuni studenti delle scuole medie per la presentazione del suo libro
"Anni spezzati", tenutasi ieri alla Casa del Parco.
Lia parla ai ragazzi con un linguaggio fresco e accattivante, arricchito
da esempi tratti dalla vita di tutti i giorni; sa come farsi capire da loro e
come catturare l'attenzione di quelle giovani menti, qualità questa assai rara.
Sapendoli stimolare nella giusta maniera, suscita la loro curiosità che si
traduce in domande e interventi sinceri, naturale conseguenza dei suoi input.
La scrittrice riesce così a trattare in maniera inedita e fruibile dai
ragazzi una questione delicata e complessa come la Shoah. E lo fa nel modo più
autentico, raccontando la sua storia personale di ebrea di seconda generazione,
una delle quattro contenute in "Anni spezzati".
Dalle offese dei suoi compagni di scuola sotto gli occhi indifferenti
di un professore alla cattura del nonno tradito da un amico complice dei
nazifascisti, Lia conduce i suoi uditori indietro nel tempo, ripercorrendo le
tappe fondamentali di una dolorosa vicenda familiare culminata con una tragica
scoperta: la morte di una zia, Ada Tagliacozzo, deportata ad Auschwitz all'età
di soli otto anni il 16 ottobre 1943, data che segnò l'inizio a Roma delle
deportazioni nazifasciste.
Una storia celata a lungo dai congiunti di Lia, reticenti a parlarne
per non riaprire una ferita mai sanata. La stessa autrice ha confessato di
averla taciuta per anni, trovando la forza per raccontarla solo dopo molto
tempo. A leggere ai ragazzi il biglietto consegnato dai nazifascisti il giorno
della deportazione alla bisnonna Eleonora, con cui per un puro caso si trovava
Ada, è Giovanna Micaglio - responsabile della biblioteca Casa della Parco - che
si alterna intelligentemente con la Tagliacozzo per dare più dinamicità
all'incontro.
Al termine della presentazione l'autrice di "Anni spezzati" ci
ha poi rilasciato un'intervista che di seguito riportiamo.
Lei ha detto di non essere
riuscita a raccontare la storia della sua famiglia per lungo tempo. Cosa l'ha
portata alla fine a superare il suo riserbo?
Non c'è stato un evento scatenante. Si è trattato di un processo che è
maturato lentamente in me come in tanti altri ebrei. È stata una sensibilità
collettiva che si è evoluta. Al principio c'è stato il silenzio, c'era un
rifiuto a raccontare da parte di tutti, perché non si voleva ricordare ma
provare a dimenticare. La mia famiglia non ha fatto eccezione. Tuttavia mio
padre a un certo punto ha cominciato a parlare dei suoi ricordi di bambino di
cinque anni, nascosto in un convento. La sua decisione di raccontare ha fatto
sì che anche il clima familiare mutasse.
Dunque ricordare è
fondamentale.
Sì, ma soprattutto è importante mantenere uno spazio del ricordo comune,
una memoria collettiva del Paese, mediante iniziative come quella di oggi
rivolta ai ragazzi. Dopodiché un altro aspetto da considerare con la dovuta
attenzione è la consistenza di questo ricordo. Infine esiste un terzo ambito
rappresentato dalla capacità di conservare una memoria privata, che permetta di
rielaborare il lutto più intimamente.
Nel suo libro sono presenti numerosi
rimandi ad altri testi, film e brani musicali sulla Shoah. Ciò ricorda
l'ipertestualità e la multimedialità proprie dei mezzi informatici. Ha mai
pensato di realizzare una versione digitale di "Anni spezzati" che
consenta di sfruttare appieno queste caratteristiche?
In verità no, ma la ringrazio perché è una bella idea e la
suggerirò alla casa editrice! Detto ciò, io mi ritengo una persona attiva su questi
temi e ho cercato di sviluppare alcune riflessioni in proposito nella consapevolezza
che oggi ci troviamo di fronte a una generazione di nativi digitali. Pensare quindi
che il libro possa essere l'unico mezzo per trasmettere la conoscenza è un
errore. A mio avviso parte dei problemi della formazione scolastica è dovuta
proprio a questo scarto. Ritengo quindi che si debba creare un ponte per poter
comunicare con i ragazzi, utilizzando gli stessi strumenti da loro impiegati.
Anche perché non li si può lasciare soli nel formarsi le proprie idee in rete.
Bisogna invece indirizzarli, tornando a
dare importanza alla validità delle fonti, ruolo cui purtroppo abbiamo
abdicato.
Lia Tagliacozzo e Giovanna Micaglio |
Ci sono altri progetti da lei
realizzati per le scuole?
Oltre ad "Anni spezzati", le cui illustrazioni - ci tengo a
dire - sono di Lia Frassineti e riproducono foto d'epoca, ho scritto insieme a
Sira Fatucci "Sogni bruciati", un documentario a cura dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, diretto da Rebecca Samonà e realizzato all'interno
della scuola romana De Andrè. L'intento è stato quello di associare i sogni dei
ragazzi di oggi, scritti su pezzi di carta poi dati alle fiamme, con quelli di
loro coetanei vissuti molti anni prima, che furono per sempre distrutti dai
nazifascisti.
Infine ho curato il libro "Parole chiare", che racconta i
luoghi della discriminazione in Italia attraverso una raccolta di fotografie.
In tal modo si ha un confronto con posti conosciuti di nome, a cui però difficilmente
si riesce ad associare un'immagine, come la Risiera di San Sabba, Fossoli, Meina, via
Tasso, le Fosse Ardeatine.
Per terminare, quale consiglio
si sente di dare ai ragazzi?
L'invito che rivolgo ai giovani è di cercare di eliminare qualunque
tipo di pregiudizio dalla loro quotidianità, che potrebbe essere il semplice
ricorso a parole come "ebreo" o "zingaro" con accezioni
negative. È doveroso mettersi nei panni dell'altro, senza farsi trascinare da
opinioni precostituite. Infine consiglio loro di usare l'intelligenza coniugandola
sempre con la propria coscienza. Solo così potranno collocarsi tra i
"giusti".
Concludiamo riportando il testo di una lettera scritta da un preside
ai suoi insegnanti, che Giovanna Micaglio ha letto per congedarsi dagli studenti:
"Cari professori,
sono un sopravvissuto di un
campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano
dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti;
bambini uccisi con veleno da
medici ben formati;
lattanti uccisi da infermiere
provette;
donne e bambini uccisi e
bruciati da diplomati di scuole superiori e università.
Diffido –quindi –
dall’educazione.
La mia richiesta è: aiutate i
vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai
produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann
istruiti.
La lettura, la scrittura,
l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più
umani".
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