La Shoah vista con gli occhi di un'ebrea di seconda generazione
In occasione del Giorno della Memoria, per comprendere meglio il significato di questa ricorrenza, abbiamo ritenuto opportuno
rivolgere alcune domande alla responsabile della Biblioteca Casa del Parco,
Giovanna Micaglio Benamozegh, membro della Comunità Ebraica di Roma e da tempo
impegnata in attività culturali organizzate insieme all'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane.
Come rappresentante della
comunità ebraica quali sono le sue riflessioni sul Giorno della Memoria?
Il Giorno della Memoria è stato istituito affinché a serbare il
ricordo non fossero solo gli ebrei, ma l'Europa intera, dal momento che la
Shoah ha coinvolto cittadini di diverse nazionalità.
Per molto tempo il ricordo di quanto accaduto è stato rifiutato dagli
ebrei stessi, perché troppo doloroso da sopportare. Il meccanismo psicologico
più comune era la rimozione, che talvolta sfociava addirittura in amnesia. Neanche
in famiglia se ne parlava, perché i genitori non volevano caricare i figli
della propria sofferenza. Chi invece ebbe la forza di parlarne spesso non venne creduto o trovò
ostilità. Lo stesso Primo Levi quando decise di pubblicare il suo diario
ricevette diversi rifiuti perché l'argomento trattato era troppo duro.
Per questo la testimonianza delle seconde generazioni, cui io
appartengo, è un'operazione complessa, ma necessaria.
Ci può raccontare la sua
vicenda familiare?
Mia madre ha vissuto le persecuzioni nazifasciste, ma fortunatamente è
scampata alla deportazione insieme a mia nonna e alle mie zie grazie all'aiuto
di persone generose non ebree. Quindi i suoi ricordi non sono connotati dalla
tragedia dei campi di concentramento, tuttavia anche per lei sono stati anni
terribili, di cui non è mai riuscita a parlarmi. Io ho appreso tutto da una mia
zia e in piccola parte da mia nonna.
Dai loro racconti sono venuta a sapere che in un primo momento
riuscirono a sfuggire alle retate del 16 ottobre 1943, complice forse un
giovane e "sbarbatello" ufficiale tedesco che diede loro modo di
farlo, e trovarono riparo in una casa a piazzale Clodio, in cui abitavano
alcuni parenti che avevano cambiato il proprio cognome.
Successivamente provarono a fare ritorno a casa loro in via Flaminia,
ma la trovarono occupata dai tedeschi a cui qualche delatore le aveva
denunciate. Alla fine riuscirono a salvarsi grazie al portiere del palazzo che
mise a repentaglio la propria vita e quella della sua famiglia per aiutarle,
facendole nascondere nei lavatoi posti all'ultimo piano dell'edificio, dove
rimasero per mesi.
Ho anche altri parenti che dovettero fuggire dalle proprie case,
qualcuno cambiò addirittura paese e ora c'è chi vive in Inghilterra, chi in Illinois
e chi a Gerusalemme. Anche questa è stata una conseguenza delle persecuzioni
razziali: lo smembramento del tessuto familiare.
Qual è il ruolo rivestito dalle
biblioteche per preservare la memoria di questi avvenimenti?
In primo luogo la biblioteca è uno spazio aperto che si collega con il
territorio ed è accessibile a chiunque voglia entrarvi per leggere un libro o
informarsi sui più disparati argomenti. Si tratta quindi di luoghi privilegiati
per generare conoscenza e conservare la memoria.
In particolare poi le
biblioteche sono fornite di fondi atti ad approfondire fatti storici secondo
due filoni: la Shoah e le Foibe.
Io personalmente mi occupo soprattutto di organizzare incontri con i
ragazzi delle scuole, che chiaramente devono essere privi di implicazioni
politiche e alla portata di tutti. Bisogna infatti calibrare ogni singolo
evento al proprio pubblico, incluso quello dei più piccoli. A tal fine le
biblioteche predispongono bibliografie adeguate all'età e propongono agli insegnanti
alcune letture da sottoporre agli studenti prima dell'evento. Questo perché un
incontro svolto in biblioteca in fondo è sempre anche un invito alla lettura.
Se invece l'iniziativa è rivolta a un'utenza libera, allora si
allestiscono delle vetrine tematiche. Tutto questo crea cultura, ma soprattutto
induce a ragionare e a porsi delle domande.
A suo avviso ci sono state
delle iniziative particolarmente meritevoli?
Posso dire che per me il taglio più giusto è quello dell'incontro del
testimone con le scuole. La ritengo una formula particolarmente utile perché i
ragazzi vengono prima informati dagli insegnanti sugli argomenti che saranno
trattati nel corso dell'evento, di modo che possano arrivarvi preparati. A
questo deve poi far seguito un ulteriore lavoro di riflessione da svolgere in
classe.
Come ebrea ritengo che bisognerebbe creare più occasioni di incontro tra la
comunità ebraica e la cittadinanza, perché il dialogo e il confronto reciproco servono
per conoscersi meglio e non avere paura dell'altro. Va bene ricordare la Shoah,
ma bisogna anche consolidare il rapporto tra le due culture.
Come bibliotecaria dico che è necessario fare più intercultura. Io
stessa sono promotrice di un'iniziativa - "Libri e note per il mondo"
- volta a promuovere il dialogo interculturale tra i ragazzi attraverso la
musica e la lettura, entrambi strumenti
formidabili per favorire la comunicazione tra persone di paesi diversi. Ogni
incontro poi si conclude con una merenda interculturale, perché ritengo che sia
utile imparare a conoscere anche le diverse abitudini alimentari e culinarie di
ogni popolo.
A tal proposito ritiene
possibile un dialogo costruttivo tra cristiani ed ebrei?
Questo è un argomento che sento particolarmente vicino perché il mio
trisnonno, il rabbino di Livorno Elia Benamozegh, è stato un pioniere del
dialogo tra ebrei e cristiani, in quanto aveva condotto studi approfonditi
sulle tre religioni - ebraica, cristiana e mussulmana - giungendo alla
conclusione che c'erano tantissime somiglianze tra la morale cristiana e quella
ebraica. In generale comunque tutta mia famiglia è stata molto attiva in questo
senso.
Anche dai cristiani sono giunti segnali forti, basti pensare al Concilio
Ecumenico Vaticano II che ha dato grande apertura in questa direzione e a
Giovanni Paolo II, primo Papa ad attraversare il ponte per entrare in sinagoga.
A mio avviso il dialogo è possibile quando c'è fede. Dialogare però
non vuol dire mischiarsi, creando una religione ibrida. Al contrario si tratta
di un confronto che arricchisce entrambi senza fare perdere la propria
identità. Del resto è dalla distinzione che ha origine il mondo.
Io ho sperimentato in prima persona che il dialogo tra culture diverse
è realizzabile, dato che il mio è un matrimonio misto. Affinché ciò sia possibile,
è necessario imparare a conoscere l'altro non per distruggerlo o prevaricarlo,
ma per capirlo meglio.
Lei è nel direttivo dell'associazione
"Il Melograno", con cui organizza anche eventi legati al Giorno della
Memoria. Ci può parlare di alcune di queste manifestazioni?
"Il Melograno" è un'associazione culturale composta da
volontari e impegnata nell'organizzazione di eventi gratuiti per la
cittadinanza. Due anni fa abbiamo realizzato a Formello, sede dell'associazione,
un evento volto a far conoscere cosa era successo durante la persecuzioni
nazifasciste in questo paese. Per tale motivo sono state fatte approfondite
ricerche di documenti nell'archivio comunale e in quello di stato, nonché
interviste a diverse persone per avere testimonianze dirette. Anche qui abbiamo
riscontrato una memoria sommersa, rimossa dalla volontà di dimenticare. Inoltre
è emerso che alcuni ebrei furono salvati dagli abitanti del posto, tra cui lo
stesso podestà, che gli procurarono documenti falsi per sfuggire ai nazifascisti. A seguito di
questa scoperta abbiamo deciso di rimettere in contatto i formellesi con i discendenti
delle famiglie ebraiche del luogo, mettendo a confronto i ricordi tramandatigli.
L'anno scorso, invece, abbiamo organizzato un incontro con la scrittrice
Lia Tagliacozzo e quest'anno una mostra fotografica, in cui abbiamo associato
momenti di vita ebraica al ricordo della Shoah, per dare conto di una comunità ancora
viva.
Per concludere, ci sono libri
sulla Shoah che si sente di consigliare in particolar modo?
Vanno assolutamente letti "Se questo è un uomo" e "La
tregua" di Primo Levi, così come non si può prescindere da "Il diario
di Anna Frank". Consiglio inoltre "Sonderkommando Auschwitz" di Shlomo
Venezia, testimonianza di vita in un lager, e "Il commerciante di bottoni",
frutto dei ricordi di Piero Terracina raccolti da Erika Silvestri, che racconta
le difficoltà incontrate da un ragazzo per ricominciare a vivere nella
normalità.
Per un pubblico di ragazzi, invece, suggerirei "Anni
spezzati" di Lia Tagliacozzo e "Una bambina e basta" di Lia
Levi, opera nata per un pubblico adulto, ma rivelatasi adatta ai giovani perché
narra la storia di un'adolescente.
Per avere poi un taglio storico è molto valido
"Parole chiare" sempre della Tagliacozzo. Infine, l'ultimo titolo che inserirei è "Il libro della memoria" di
Liliana Picciotto Fargion, contributo prezioso perché raccoglie i nominativi di
tutti gli internati, quindi è stato estremamente utile per tanti che non
avevano più avuto notizie dei propri cari.
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