Un matto vero fascista e un matto falso ebreo raccontano le leggi
razziali
In prossimità del Giorno della Memoria vi consigliamo la visione di
uno spettacolo dal titolo atipico "Gli ebrei sono matti" in scena dal
22 gennaio al 10 febbraio al Teatro dell'Orologio, convenzionato con
l'Istituzione Biblioteche di Roma.
L'opera, scritta, diretta e interpretata da Dario Aggioli, trae spunto
da una vicenda realmente accaduta presso l'ospedale psichiatrico Villa Turina
Amione, dove il professor Carlo Angela - padre del famoso presentatore
televisivo - diede rifugio in qualità di direttore della struttura a numerosi
ebrei e antifascisti, confondendoli con i degenti.
Da questa singolare storia Aggioli ha preso l'ispirazione per
una altrettanto inusuale rappresentazione, costruita interamente sul confronto
tra due personaggi opposti e complementari.
Da una parte abbiamo Enrico, un
fascista fedelissimo al Duce che viene internato in una clinica nelle vicinanze
di Torino, lontano dai suoi affetti e dai suoi ideali. Dall'altra abbiamo
invece Ferruccio, un ebreo romano da tempo in fuga, che trova riparo presso la
medesima casa di cura, nel quale viene ricoverato sotto il falso nome di Angelo.
Per volere del direttore del manicomio, che intende insegnargli come
si comporta un malato di mente, Ferruccio/Angelo viene messo in stanza con uno
dei pazienti più tranquilli per imparare ad emularlo. Quest'ultimo, però, altri
non è che Enrico.
Si origina così una situazione paradossale e un po' grottesca in cui
un matto vero fascista e un matto falso ebreo si ritrovano a raccontare, ognuno
alla propria maniera, la tragedia delle leggi razziali.
Nonostante la complessità della dolorosa tematica, lo spettacolo non
rinuncia a un pizzico di ironia, generata dall'assurdo contrasto tra due
follie, una vera e una simulata, che alla fine tenderà a smascherare
l'insensatezza di un incomprensibile regime fondato su falsità e menzogne fatte
passare per sacrosante verità.
È in questo disvelamento che risiede il senso di "Gli ebrei sono
matti", intelligente lavoro dedicato alla memoria del professor Ferruccio
Di Cori, noto psichiatra e scrittore ebreo, emigrato negli Stati Uniti durante
la persecuzione nazifascista.
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