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giovedì 31 gennaio 2013

A colloquio con Giovanna Micaglio Benamozegh


La Shoah vista con gli occhi di un'ebrea di seconda generazione

In occasione del Giorno della Memoria, per comprendere meglio il significato di questa ricorrenza, abbiamo ritenuto opportuno rivolgere alcune domande alla responsabile della Biblioteca Casa del Parco, Giovanna Micaglio Benamozegh, membro della Comunità Ebraica di Roma e da tempo impegnata in attività culturali organizzate insieme all'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.


Come rappresentante della comunità ebraica quali sono le sue riflessioni sul Giorno della Memoria?
Il Giorno della Memoria è stato istituito affinché a serbare il ricordo non fossero solo gli ebrei, ma l'Europa intera, dal momento che la Shoah ha coinvolto cittadini di diverse nazionalità.
Per molto tempo il ricordo di quanto accaduto è stato rifiutato dagli ebrei stessi, perché troppo doloroso da sopportare. Il meccanismo psicologico più comune era la rimozione, che talvolta sfociava addirittura in amnesia. Neanche in famiglia se ne parlava, perché i genitori non volevano caricare i figli della propria sofferenza. Chi invece ebbe la forza di parlarne spesso non venne creduto o trovò ostilità. Lo stesso Primo Levi quando decise di pubblicare il suo diario ricevette diversi rifiuti perché l'argomento trattato era troppo duro.
Per questo la testimonianza delle seconde generazioni, cui io appartengo, è un'operazione complessa, ma necessaria.

Ci può raccontare la sua vicenda familiare?
Mia madre ha vissuto le persecuzioni nazifasciste, ma fortunatamente è scampata alla deportazione insieme a mia nonna e alle mie zie grazie all'aiuto di persone generose non ebree. Quindi i suoi ricordi non sono connotati dalla tragedia dei campi di concentramento, tuttavia anche per lei sono stati anni terribili, di cui non è mai riuscita a parlarmi. Io ho appreso tutto da una mia zia e in piccola parte da mia nonna.
Dai loro racconti sono venuta a sapere che in un primo momento riuscirono a sfuggire alle retate del 16 ottobre 1943, complice forse un giovane e "sbarbatello" ufficiale tedesco che diede loro modo di farlo, e trovarono riparo in una casa a piazzale Clodio, in cui abitavano alcuni parenti che avevano cambiato il proprio cognome.
Successivamente provarono a fare ritorno a casa loro in via Flaminia, ma la trovarono occupata dai tedeschi a cui qualche delatore le aveva denunciate. Alla fine riuscirono a salvarsi grazie al portiere del palazzo che mise a repentaglio la propria vita e quella della sua famiglia per aiutarle, facendole nascondere nei lavatoi posti all'ultimo piano dell'edificio, dove rimasero per mesi.
Ho anche altri parenti che dovettero fuggire dalle proprie case, qualcuno cambiò addirittura paese e ora c'è chi vive in Inghilterra, chi in Illinois e chi a Gerusalemme. Anche questa è stata una conseguenza delle persecuzioni razziali: lo smembramento del tessuto familiare.

Qual è il ruolo rivestito dalle biblioteche per preservare la memoria di questi avvenimenti?
In primo luogo la biblioteca è uno spazio aperto che si collega con il territorio ed è accessibile a chiunque voglia entrarvi per leggere un libro o informarsi sui più disparati argomenti. Si tratta quindi di luoghi privilegiati per generare conoscenza e conservare la memoria.
In particolare poi le biblioteche sono fornite di fondi atti ad approfondire fatti storici secondo due filoni: la Shoah e le Foibe.
Io personalmente mi occupo soprattutto di organizzare incontri con i ragazzi delle scuole, che chiaramente devono essere privi di implicazioni politiche e alla portata di tutti. Bisogna infatti calibrare ogni singolo evento al proprio pubblico, incluso quello dei più piccoli. A tal fine le biblioteche predispongono bibliografie adeguate all'età e propongono agli insegnanti alcune letture da sottoporre agli studenti prima dell'evento. Questo perché un incontro svolto in biblioteca in fondo è sempre anche un invito alla lettura.
Se invece l'iniziativa è rivolta a un'utenza libera, allora si allestiscono delle vetrine tematiche. Tutto questo crea cultura, ma soprattutto induce a ragionare e a porsi delle domande.

A suo avviso ci sono state delle iniziative particolarmente meritevoli?
Posso dire che per me il taglio più giusto è quello dell'incontro del testimone con le scuole. La ritengo una formula particolarmente utile perché i ragazzi vengono prima informati dagli insegnanti sugli argomenti che saranno trattati nel corso dell'evento, di modo che possano arrivarvi preparati. A questo deve poi far seguito un ulteriore lavoro di riflessione da svolgere in classe.

Si potrebbe fare ancora di più?
Come ebrea ritengo che bisognerebbe creare più occasioni di incontro tra la comunità ebraica e la cittadinanza, perché il dialogo e il confronto reciproco servono per conoscersi meglio e non avere paura dell'altro. Va bene ricordare la Shoah, ma bisogna anche consolidare il rapporto tra le due culture.
Come bibliotecaria dico che è necessario fare più intercultura. Io stessa sono promotrice di un'iniziativa - "Libri e note per il mondo" - volta a promuovere il dialogo interculturale tra i ragazzi attraverso la musica  e la lettura, entrambi strumenti formidabili per favorire la comunicazione tra persone di paesi diversi. Ogni incontro poi si conclude con una merenda interculturale, perché ritengo che sia utile imparare a conoscere anche le diverse abitudini alimentari e culinarie di ogni popolo.

A tal proposito ritiene possibile un dialogo costruttivo tra cristiani ed ebrei?
Questo è un argomento che sento particolarmente vicino perché il mio trisnonno, il rabbino di Livorno Elia Benamozegh, è stato un pioniere del dialogo tra ebrei e cristiani, in quanto aveva condotto studi approfonditi sulle tre religioni - ebraica, cristiana e mussulmana - giungendo alla conclusione che c'erano tantissime somiglianze tra la morale cristiana e quella ebraica. In generale comunque tutta mia famiglia è stata molto attiva in questo senso.
Anche dai cristiani sono giunti segnali forti, basti pensare al Concilio Ecumenico Vaticano II che ha dato grande apertura in questa direzione e a Giovanni Paolo II, primo Papa ad attraversare il ponte per entrare in sinagoga.
A mio avviso il dialogo è possibile quando c'è fede. Dialogare però non vuol dire mischiarsi, creando una religione ibrida. Al contrario si tratta di un confronto che arricchisce entrambi senza fare perdere la propria identità. Del resto è dalla distinzione che ha origine il mondo.
Io ho sperimentato in prima persona che il dialogo tra culture diverse è realizzabile, dato che il mio è un matrimonio misto. Affinché ciò sia possibile, è necessario imparare a conoscere l'altro non per distruggerlo o prevaricarlo, ma per capirlo meglio.

Lei è nel direttivo dell'associazione "Il Melograno", con cui organizza anche eventi legati al Giorno della Memoria. Ci può parlare di alcune di queste manifestazioni?
"Il Melograno" è un'associazione culturale composta da volontari e impegnata nell'organizzazione di eventi gratuiti per la cittadinanza. Due anni fa abbiamo realizzato a Formello, sede dell'associazione, un evento volto a far conoscere cosa era successo durante la persecuzioni nazifasciste in questo paese. Per tale motivo sono state fatte approfondite ricerche di documenti nell'archivio comunale e in quello di stato, nonché interviste a diverse persone per avere testimonianze dirette. Anche qui abbiamo riscontrato una memoria sommersa, rimossa dalla volontà di dimenticare. Inoltre è emerso che alcuni ebrei furono salvati dagli abitanti del posto, tra cui lo stesso podestà, che gli procurarono documenti falsi per sfuggire ai nazifascisti. A seguito di questa scoperta abbiamo deciso di rimettere in contatto i formellesi con i discendenti delle famiglie ebraiche del luogo, mettendo a confronto i ricordi tramandatigli.
L'anno scorso, invece, abbiamo organizzato un incontro con la scrittrice Lia Tagliacozzo e quest'anno una mostra fotografica, in cui abbiamo associato momenti di vita ebraica al ricordo della Shoah, per dare conto di una comunità ancora viva.

Per concludere, ci sono libri sulla Shoah che si sente di consigliare in particolar modo?
Vanno assolutamente letti "Se questo è un uomo" e "La tregua" di Primo Levi, così come non si può prescindere da "Il diario di Anna Frank". Consiglio inoltre "Sonderkommando Auschwitz" di Shlomo Venezia, testimonianza di vita in un lager, e "Il commerciante di bottoni", frutto dei ricordi di Piero Terracina raccolti da Erika Silvestri, che racconta le difficoltà incontrate da un ragazzo per ricominciare a vivere nella normalità.
Per un pubblico di ragazzi, invece, suggerirei "Anni spezzati" di Lia Tagliacozzo e "Una bambina e basta" di Lia Levi, opera nata per un pubblico adulto, ma rivelatasi adatta ai giovani perché narra la storia di un'adolescente.
Per avere poi un taglio storico è molto valido "Parole chiare" sempre della Tagliacozzo. Infine, l'ultimo titolo che inserirei è "Il libro della memoria" di Liliana Picciotto Fargion, contributo prezioso perché raccoglie i nominativi di tutti gli internati, quindi è stato estremamente utile per tanti che non avevano più avuto notizie dei propri cari. 

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