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martedì 22 gennaio 2013

Il giorno della Memoria: noi non dimentichiamo

Ogni anno il 27 gennaio il mondo si ferma per ricordare quello che successe prima e durante la seconda guerra mondiale. Ogni anno il Giorno della Memoria riapre una ferita che non si è mai chiusa. Ogni anno qualcuno prova a dire che l'Olocausto è un brutto sogno, un'invenzione. Noi non dimentichiamo e abbiamo scelto di ricordare con alcuni passi dei libri di Primo Levi. 

«Io so cosa vuol dire non tornare, e attraverso il filo spinato ho visto il sole scendere e morire, ho sentito lacerarmi la carne le parole del vecchio profeta…». ( Se questo è un uomo-Primo Levi)



 Primo Levi era uno dei migliaia di ebrei deportati nei campi di concentramento durante il regime razziale. Gli ebrei erano la razza che impediva ai super uomini di compiere il loro destino come diceva Hitler un popolo senza terra come loro, senza radici non voleva conquistare altri territori ma risucchiare il denaro ai popoli che li ospitano. Gli ebrei furono accusati di voler solo accumulare denaro e di non volere la guerra che sarebbe un inutile spreco di soldi e gli impedirebbe di accumulare ulteriore capitale; ancora furono accusati di essere dei pacifisti. Iniziò così un periodo devastante per tutti le persone di religione ebrea che vivevano in Germania, in Polonia, in Italia e non solo. Una decisione era stata presa: bisognava annientarli. Anche in Italia le idee di superiorità della razza ariana trovano terreno fertile. Dal 1941 iniziò il periodo che porterà all’eliminazione degli ebrei; all’inizio venivano arrestati, imprigionati solo quelli che facevano parte dei territori dominati dalla Germania dopo, si rastrellò ovunque. “ La soluzione finale” veniva chiamata da Himmler e Heydrich, noi invece la conosciamo comunemente con il nome di genocidio. Sei milioni di ebrei vennero deportati nei lager di Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Terezìn, Risiera di San Sabba e in molti altri. Furono costretti a vivere in condizioni disumane; ammassati come le bestie erano denutriti e obbligati a fare ogni tipo di lavoro.
Vecchi, giovani, bambini, uomini e donne tutti condannati allo stesso destino. Buttati fuori dalle loro case, derubati di ogni possedimento vengono buttati nei vagoni dei treni che li conducevano nei lager. Venivano rapati a zero, non avevano più un’identità, il loro nome era un numero stampato sulla giacca che indossavano e tatuato su di un braccio. Ancora oggi qualcuno nega, qualcuno ha il coraggio di dire che non è vero, che questi campi non sono mai esistiti, che è tutta una montatura. Si uccide ancora chi è morto solo perché non apparteneva alla razza ariana, si uccide chi è ancora vivo ed è testimone di quelle atrocità.

 “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.



 Non si aveva più un’identità; il nome veniva sostituito da una serie di numeri; tutti erano vestiti nello stesso identico modo. Le donne come gli uomini venivano rasate e dopo mesi di digiuno del viso restava ben poco. Dopo mesi nei campi di lavoro era già tanto sopravvivere.
“…il corpo d'armata mi ha portato al campo di concentramento di Via Resia. La veste talare me l'avevano lasciata. Fui chiuso subito nelle famigerate cellette ma ebbi il sentore di essere destinato ad altra sede. Rimasi tutto il mese di novembre poi venne il giorno del terribile trasporto. Siamo stati condotti alla zona industriale proprio di fronte allo stabilimento Lancia. Allo stabilimento ho ricevuto dagli operai l'ultimo saluto. Chiesi loro che dicessero ai miei fratelli di andare nella mia abitazione a portare via tutto quello che di bello e di buono c'era. Ci sono riusciti. Eravamo sul solito vagone bestiame. Ci sono stati alcuni che sono riusciti a segare le assi e a gettarsi nelle fermate o nei rallentamenti. Ricordo un fatto meraviglioso, a Innsbruck sono riuscito ad avvicinare una persona dal finestrino e a gettargli un biglietto per annunciare alle mie due zie, Maria e Pia, ambedue sposate a Innsbruck, dove ero diretto. Ero riuscito a leggere la scritta in gesso sul vagone bestiame: Mauthausen. Siamo stati scaricati dal Kapò in maniera bestiale, e condotti a piedi al campo di concentramento. Subito dopo la solita storia, depositare, controllare, dare i dati, i vestiti e anche i soldi che avevi addosso. Ecco che ad un certo punto io mi trovo nel Revier, cioè nella zona di quarantena. Come tutti i deportati ho subito la spoliazione e la rasatura, pure abbondante, perché ho pochi capelli in testa ma avevo tanti peli sul corpo. Con rasoi che erano dei seghetti e con poco rispetto della dignità. Quando poi penso che questi erano a loro volta prigionieri, come è avvenuto nel campo di concentramento di Bolzano, passati armi e bagagli ai Tedeschi, era veramente umiliante. Per me l'umiliazione è sempre stata la peggiore e la più profonda pena, perché man mano che passava su di me pensavo a coloro che venivano dopo.
…Alla stazione ci hanno messo nel vagone di un treno normale, il Vienna Dachau, o meglio Vienna Monaco. Il treno fermava nelle varie stazioni e una volta giunto a Monaco il nostro vagone fece i rimanenti ventiquattro chilometri fin dentro il campo di concentramento. A Dachau avevano diffuso la voce di stare attenti perché dopo la doccia avrebbero mandato dentro il gas. Dopo la doccia ci lasciarono ore, abbiamo sofferto tanto freddo ma fortunatamente non abbiamo avuto la condanna al gas. Io anche in quella occasione sono finito in Revier, in quarantena.. Dachau era un campo che oggi si direbbe di coltivazioni. Durante la prima guerra mondiale avevano portato dalla Selva Nera tanto materiale, tanta terra nera, e c'erano le cosiddette Gewächshaus, delle vere serre. Dentro quelle serre lavoravano in prevalenza sacerdoti. Nel campo vi era anche un convento intero, dal padre portinaio fino all'abate dei Benedettini, i quali si distinguono specialmente nello studio e nella ricerca di nuove piante, di nuove coltivazioni. Lì dentro si lavorava e si celebrava la messa. Avevamo una specie di cassa per la frutta, dove avevamo nascosto tutto il necessario per celebrare. Mentre noi si lavorava a curare le piante, a trapiantarle eccetera, un altro celebrava la messa. Alla fine si faceva la Comunione. Un giorno è capitato uno della SS e ha trovato che le varie piantine non erano state mosse, la cassetta invece era stata nascosta. Appena si è sentita la porta aprire e ha detto "tu maledetto, non hai fatto niente", io ho detto "mi scusi ma quelle sono piante riservate da un altro, lui le deve solo curare" Così ce la siamo cavata…”



 Questa è solo una delle tante testimonianze che ha lasciato chi ha vissuto la terribile esperienza della deportazione. E’ difficile stare seduti in un angolo e ricordare i giorni tutti uguali; è difficile star lì e ripercorrere attimo per attimo un percorso il cui arrivo sembrava già esser stato scritto. Ma forse è solo attraverso queste testimonianze che ci possiamo rendere realmente conto di quello che è stato. Difficile sperare che si potesse tornare a casa ma forse solo chi aveva questa flebile speranza riuscì a resistere e a riabbracciare i propri cari.

Questi i pensieri di Primo Levi

“ Sognavamo le notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: tornare; mangiare; raccontare. Finchè suonava breve sommesso Il comando dell’alba: “Wstawac “: e si spezzava in petto il cuore.” ( Primo Levi-La tregua)

 In migliaia morirono nei campi di concentramento; in pochi tornarono a casa. Chi riuscì a sopravvivere tornando a casa ricevette altre pugnalate, altre torture psicologiche. In molti dicevano che i campi di concentramento non erano mai esistiti; in molti negavano la crudeltà delle SS; molti dicevano che Hitler non avevo voluto lo sterminio. E allora riguardando quel numero sul braccio non si trovava neanche la forza di piangere perché una nuova tragedia si stava verificando. Essere dei bugiardi dopo aver passato mesi stipati come bestie; dopo aver digiunato per mesi; dopo aver subito violenze di ogni genere c’era che aveva il coraggio di dire : “ No non è successo niente di tutto questo”. Ci si guardava allo specchio e ci si chiedeva se magari era stato tutto un incubo visto che la gente continuava a dire che niente era vero. Ma tutto quello che si era vissuto andava ben oltre un semplice incubo. Sprofondare nei ricordi per ricordare. Si, ricordare per combattere, e vincere una nuova battaglia. Per non dimenticare.

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